ACSE on LINE 3/5 2010

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scuola

domenica 20 febbraio 2011

A.C.S.E. N°4 2011 - ritiro spirituale


Ritiro A.C.S.E. dai pp. Passionisti 20 -2- 2011 Roma in via Claudia , 60 – Dietro il Colosseo.
CRONACA BREVE: Alle 9,15 della mattina del 20 febbraio dovevamo trovarci davanti la porta dei P. Passionisti del monte Celio in Roma. Ma…: Uno dei volontari è rimasto a casa con un grave attacco di influnenza, un altro ha perso il treno e un tezo ha persola strada, il diavolo ci ha messo la coda e il portone automatico si è chiuso sulla Panda del p. Claudio, strisciandola. Da questi fatti abbiamo potuto subito affrontare il primo tema pratico: “DIFFERENZA TRA PROGETTI E LORO REALIZZAZIONE”, o in altre parole “Nella vita dobbiamo essere pronti a qualsiasi sorpresa!” Di fatto… 8 volontari presenti al ritiro su 13 attesi, ma tutti siamo rimasti molto contenti e abbiamo deciso di fare altri incontri in futuro.
Siamo quindi passati ad affrontare il tema proposto “FEDE SPERANZA E CARITà” nei documenti del Papa e nella nostra vita. Questo è stato possibile grazia alla generosità dei Padri Passionisti che generosamente ci hanno accolto e ospitato nella loro casa. Dio li benedica. L’obiettivo del Ritiro è stato :“La necessità di riflettere sulla nostra vita di cristiani chedendoci: “ ma cosa ci ha trasmesso Gesù?” “Ognuno di noi dove stiamo andando? Cosa sto facendo della mia vita?”
Abbiamo concluso con una chiaccherata molto istruttiva per avere idee per i prossimi ritiri che faremo, per ora, almeno uno ogni tre mesi, sempre nella casa dei Padri Pasionisti. Abbiamo bisogno di rinvigorire la nostra fede e diventare apostoli di Gesù nel mondo, pieni di gioia e gratitudine per “L’AMORE CHE DIO HA PER NOI”. Inoltre abbiamo parlato di quanto succede arabo e della loro fede. Abbiamo visto che dobbiamo studiare i problemi della stregoneria in Africa e nel mondo. Una chiaccherata veramente istruttiva e piena di vivacità.
Ecco i testi analizzati nel “ritiro”:
TEMA : FEDE SPERANZA E CARITA’ cardini della nostra vita.Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.
Vangelo+ Dal Vangelo secondo Marco 8,34-9,1

In quel tempo, convocata la folla insieme ai suoi discepoli, Gesù disse loro:
«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.
Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita?
Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».
Diceva loro: «In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza».

Parola del Signore
Nella Santa Messa abbiamo anche pregato :
LA Preghiera dei fedeli
Consapevoli che saremo giudicati sulla testimonianza attiva del vangelo, preghiamo il Padre, dicendo insieme:
Rendici testimoni del vangelo, Signore.

Accompagna, o Signore, il nostro cammino verso di te. Purifica la nostra fede, in modo che a ciò che diciamo, corrisponda ciò che facciamo. Preghiamo:

Rendi, o Signore, la tua Chiesa fervida di opere sociali e caritative. Rendila attenta e sensibile a quei bisogni cui la società ancora non provvede. Preghiamo:
Fortifica, o Signore, la comunità dell’ A.C.S.E. nella sequela del tuo Cristo. La serenità e la pace siano il frutto della fiducia che ha posto in lui. Preghiamo:

Dio della salvezza, che ci chiami ad una testimonianza coraggiosa della nostra fede, aiutaci a portare apertamente e fieramente il nostro nome cristiano, perché Gesù tuo Figlio ci possa un giorno riconoscere davanti a te che sei Dio e vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

Finalmete abbiamo affrontato la lettera Enciclica del Papa BENEDETTO XVI° :

“DEUS CARITAS EST”: "DIO È AMORE": I COMMENTI sono presi dalla radio vaticana con alcuni interventi di p. Claudio dell’ A.C.S.E.:
“L’Amore è il centro della fede cristiana”. Dio “ama personalmente” la sua creatura – scrive il Papa: “si commuove … freme di compassione”, è amore che non abbandona mai anche quando è tradito, “è amore che perdona” È “il mistero della Croce: Dio ama tanto l’uomo che facendosi uomo Egli stesso lo segue fin nella morte e in questo modo riconcilia giustizia e amore”. Noi abbiamo creduto “all’amore appassionato di Dio” – scrive il Papa. E questo vuol dire che “all’inizio dell’essere cristiano c’è l’incontro con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”
1)
“La fede non è una teoria che si può far propria o anche accantonare. È una cosa molto concreta: è il criterio che decide del nostro stile di vita. In un'epoca nella quale l'ostilità e l'avidità sono diventate superpotenze, un'epoca nella quale assistiamo all'abuso della religione fino all'apoteosi dell'odio, la sola razionalità neutra non è in grado di proteggerci. Abbiamo bisogno del Dio vivente, che ci ha amati fino alla morte”. Dunque al centro c’è l’amore, parola spesso abusata 1° eros, amore “mondano”, fondamentalmente amore fra l’uomo e la donna. 2° e agape, amore fondato sulla fede Ma l’agape non è contro la corporeità’ – sottolinea il Papa 3° anzi queste due dimensioni vanno armonizzate.
2)
“Volevo mostrare l'umanità della fede,... il ‘sì’ dell'uomo alla sua corporeità creata da Dio, un ‘sì’ che nel matrimonio indissolubile tra uomo e donna trova la sua forma radicata nella creazione. E lì avviene anche che l'eros si trasforma in agape – che l'amore per l'altro non cerca più se stesso, ma diventa preoccupazione per l'altro, disposizione al sacrificio per lui e apertura anche al dono di una nuova vita umana”.
L’uomo deve attingere a quella sorgente da cui sgorgano fiumi di acqua viva, cioè “Gesù Cristo, dal cui cuore sgorga l’amore di Dio”. “La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo “In Gesù Cristo, Dio stesso insegue la pecorella smarrita, l’umanità sofferente e perduta”. E nell’Eucaristia siamo attirati nell’amore di Gesù che diventa amore per il prossimo. “L’unione con Cristo infatti è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me – afferma il Pontefice – posso appartenergli solo in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi”. “Così chiunque ha bisogno di me e io posso aiutarlo quello è il mio prossimo”. E il giudizio finale – ricorda il Papa – verterà proprio sull’amore: Gesù si identifica con gli affamati, gli assetati, i forestieri, i nudi, i malati, i carcerati. In questi piccoli “incontriamo Gesù stesso e in Gesù incontriamo Dio”. (Mt.25, 31-46) Ma il comandamento dell’amore – prosegue il Papa – riguarda non solo i singoli cristiani ma anche i cristiani come comunità: cioè la carità è parte integrante della missione della Chiesa, così come la celebrazione dei Sacramenti e l’annuncio della Parola. La Chiesa volge così il suo amore in modo concreto verso tutti gli uomini che sono sofferenti e nel bisogno. Un’azione umanitaria che non va confusa con una pura forma di assistenza sociale e che deve essere “indipendente da partiti e ideologie”. Ascoltiamo Benedetto XVI:
3)
“Lo spettacolo dell'uomo sofferente tocca il nostro cuore. Ma l'impegno caritativo ha un senso che va ben oltre la semplice filantropia. È Dio stesso che ci spinge nel nostro intimo ad alleviare la miseria. Così, in definitiva, è Lui stesso che noi portiamo nel mondo sofferente. Quanto più consapevolmente e chiaramente lo portiamo come dono, tanto più efficacemente il nostro amore cambierà il mondo e risveglierà la speranza – una speranza che va al di là della morte”.
L’attività caritativa deve essere spinta dall’amore di Cristo e va nutrita con la preghiera costante in un contatto vivo con Dio: “E’ venuto il momento – scrive il Papa – di riaffermare l’importanza della preghiera di fronte all’attivismo e all’incombente secolarismo di molti cristiani impegnati nel lavoro caritativo”.
4) “L’amore - caritas - sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c'è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore ¼ Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un’istanza burocratica che non può assicurare l’essenziale di cui l’uomo sofferente - ogni uomo - ha bisogno:” l’amorevole dedizione personale”.
5)L’amore umano vero è un amore che corrisponde alla totalità – corpo e anima – dell’essere umano”. Amore di Dio e amore del prossimo, sono “inseparabili e si condizionano reciprocamente. Sono un unico comandamento”. “Oggi molti sono pronti ad aiutare chi soffre – e lo registriamo con gratitudine e soddisfazione; ma ciò può insinuare presso i fedeli l’idea che la carità non rientra in maniera essenziale nella missione ecclesiale”.
6 ) L’esercizio della carità, ha ribadito il Pontefice, fa invece “parte integrante dell’eredità del Salvatore”. Le agenzie ecclesiali non possono identificarsi con le ONG, deve perciò evitarsi il rischio di secolarismo in questo campo.“Il documento esprime – e non solo una volta - che la fede dà una dinamica singolare all’impegno per l’altro. cosa succede quando il mio prossimo mi ripugna, come posso resistere senza la grazia di Dio?”
“i santi sono i veri portatori di luce all’interno della storia perché sono uomini e donne di fede, di speranza e di amore”.
7). la novità del cristianesimo ha qualcosa di essenziale, proprio a riguardo della comprensione dell'amore. Nella critica al cristianesimo che si è sviluppata con crescente radicalità a partire dall'illuminismo, questa novità è stata valutata in modo assolutamente negativo. Il cristianesimo, secondo Friedrich Nietzsche, .... con i suoi comandamenti e divieti non ci rende forse amara la cosa più bella della vita? Non innalza forse cartelli di divieto proprio là dove la gioia, predisposta per noi dal Creatore, ci offre una felicità che ci fa pregustare qualcosa del Divino?”
8) Ma è veramente così? Il cristianesimo ha davvero distrutto l'eros? Guardiamo al mondo pre- cristiano. I greci — senz'altro in analogia con altre culture — hanno visto nell'eros innanzitutto l'ebbrezza, la sopraffazione della ragione da parte di una « pazzia divina » che strappa l'uomo alla limitatezza della sua esistenza e, in questo essere sconvolto da una potenza divina, gli fa sperimentare la più alta beatitudine. Tutte le altre potenze tra il cielo e la terra appaiono, così, d'importanza secondaria: l'amore vince tutto — e cediamo anche noi all'amore.(Virgilio-Bucoliche) Nelle religioni questo atteggiamento si è tradotto nei culti della fertilità, ai quali appartiene la” prostituzione sacra” che fioriva in molti templi. L'eros venne quindi celebrato come forza divina, come comunione col Divino.
9)
L'Antico Testamento si è opposto con massima fermezza a questa forma di religione, che contrasta, come potentissima tentazione, con la fede nell'unico Dio, combattendola come perversione della religiosità. Con ciò però non ha per nulla rifiutato l'eros come tale, ma ha dichiarato guerra al suo stravolgimento distruttore, poiché la falsa divinizzazione dell'eros, che qui avviene, lo priva della sua dignità, lo disumanizza. Infatti, nel tempio, le prostitute, che devono donare l'ebbrezza del Divino, non vengono trattate come esseri umani e persone, ma servono soltanto come strumenti per suscitare la « pazzia divina »: in realtà, esse non sono dee, ma persone umane di cui si abusa. Per questo l'eros ebbro ed indisciplinato non è ascesa, « estasi » verso il Divino, ma caduta, degradazione dell'uomo. Così diventa evidente che l'eros ha bisogno di disciplina, di purificazione per donare all'uomo non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell'esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende.
Due cose emergono chiaramente da questo rapido sguardo alla concezione dell'eros nella storia e nel presente. Innanzitutto che tra l'amore e il Divino esiste una qualche relazione: l'amore promette infinità, eternità — una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere. Ma al contempo è apparso che la via per tale traguardo non sta semplicemente nel lasciarsi sopraffare dall'istinto. Sono necessarie purificazioni e maturazioni, che passano anche attraverso la strada della rinuncia. Questo non è rifiuto dell'eros, non è il suo « avvelenamento », ma la sua guarigione in vista della sua vera grandezza.
Ciò dipende innanzitutto dalla costituzione dell'essere umano, che è composto di corpo e di anima. L'uomo diventa veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità; la sfida dell'eros può dirsi veramente superata, quando questa unificazione è riuscita. Se l'uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità. E se, d'altra parte, egli rinnega lo spirito e quindi considera la materia, il corpo, come realtà esclusiva, perde ugualmente la sua grandezza.
10)
Il modo di esaltare il corpo, a cui noi oggi assistiamo, è ingannevole. L'eros degradato a puro « sesso » diventa merce, una semplice « cosa » che si può comprare e vendere, anzi, l'uomo stesso diventa merce. In realtà, questo non è proprio il grande sì dell'uomo al suo corpo. Al contrario, egli ora considera il corpo e la sessualità come la parte soltanto materiale di sé da adoperare e sfruttare con calcolo. Una parte, peraltro, che egli non vede come un ambito della sua libertà, bensì come un qualcosa che, a modo suo, tenta di rendere insieme piacevole ed innocuo. In realtà, ci troviamo di fronte ad una degradazione del corpo umano, che non è più integrato nel tutto della libertà della nostra esistenza, non è più espressione viva della totalità del nostro essere, ma viene come respinto nel campo puramente biologico. L'apparente esaltazione del corpo può ben presto convertirsi in odio verso la corporeità. La fede cristiana, al contrario, ha considerato l'uomo sempre come essere nel quale spirito e materia si compenetrano a vicenda sperimentando proprio così ambedue una nuova nobiltà.
AGAPE, CARITA’,In opposizione all'amore indeterminato e ancora in ricerca, questo vocabolo esprime l'esperienza dell'amore che diventa ora veramente scoperta dell'altro, superando il carattere egoistico prima chiaramente dominante. Adesso l'amore diventa cura dell'altro e per l'altro. Non cerca più se stesso, l'immersione nell'ebbrezza della felicità; cerca invece il bene dell'amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca.
11)
(Lc 17, 33), dice Gesù: « Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà — una affermazione che si ritrova nei Vangeli in diverse varianti (cfr Mt 10, 39; 16, 25; Mc 8, 35; Lc 9, 24; Gv 12, 25). Gesù con ciò descrive il suo personale cammino, che attraverso la croce lo conduce alla resurrezione: il cammino del chicco di grano che cade nella terra e muore e così porta molto frutto. Partendo dal centro del suo sacrificio personale e dell'amore che in esso giunge al suo compimento, egli con queste parole descrive anche l'essenza dell'amore e dell'esistenza umana in genere.
La storia d'amore di Dio con Israele consiste, in profondità, nel fatto che Egli dona la Torah, apre cioè gli occhi a Israele sulla vera natura dell'uomo e gli indica la strada del vero umanesimo. Tale storia consiste nel fatto che l'uomo, vivendo nella fedeltà all'unico Dio, sperimenta se stesso come colui che è amato da Dio e scopre la gioia nella verità, nella giustizia — la gioia in Dio che diventa la sua essenziale felicità: « Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla te rra ... Il mio bene è stare vicino a Dio » (Sal 73 [72], 25. 28).
12)
L’Enciclica si conclude con una invocazione alla Vergine Maria, modello di “quell’amore puro che non cerca se stesso ma semplicemente vuole il bene” secondo i pensieri di Dio. “A Lei – ha detto il Papa – affidiamo la Chiesa, la sua missione a servizio dell’amore”. A lei chiediamo di insegnarci a conoscere e ad amare Gesù perché possiamo “diventare capaci di vero amore ed essere sorgenti di acqua viva in mezzo a un mondo assetato”.
Il Papa radica “la dottrina sociale nella fede e nella sua azione purificatrice della ragione”. Un passaggio fondamentale dell’Enciclica è laddove afferma che “compito della Chiesa con la sua dottrina sociale, nella costruzione di un giusto ordine sociale” sta nel “risvegliare le forze spirituali e morali”.: ENCICLICA “ SPES SALVISi è presentata l’ Enciclica di Benedetto XVI "Spe salvi": "nella speranza siamo stati salvati"
Il Papa nell’ enciclica intitolata “SPE SALVI”,parte da un passo della Lettera di San Paolo ai Romani (Rm 8,24): “nella speranza siamo stati salvati”.
sintesi dell'Enciclica curata da Sergio Centofanti:

1)“La redenzione, la salvezza, secondo la fede cristiana – spiega il Papa nell’introduzione – non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino”. (1)
Perciò “elemento distintivo dei cristiani” è “il fatto che essi hanno un futuro: … sanno … che la loro vita non finisce nel vuoto”. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova”. Sulla scia di San Paolo, il Papa esorta i cristiani a non affliggersi “come gli altri che non hanno speranza” e con San Pietro ci invita a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi. (2) 2)
“Giungere a conoscere Dio – il vero Dio, questo significa ricevere speranza”. Questo lo comprendevano bene i primi cristiani, come gli Efesini, che prima di incontrare Cristo avevano molti dèi ma vivevano “senza speranza e senza Dio”. Il problema per i cristiani di antica data – sottolinea - è l’abitudine al Vangelo: la speranza “che proviene dall’incontro reale con … Dio, quasi non è più percepibile”. Qui il Papa cita un primo testimone della speranza cristiana: Santa Giuseppina Bakhita. Nata nel 1869 nel Darfur, in Sudan, viene rapita a nove anni e venduta come schiava: dopo prove terribili giunge in Italia dove conosce “la grande speranza” e può dire: “io sono definitivamente amata e qualunque cosa accada – io sono attesa da questo Amore”. 3) Il Papa ricorda che Gesù non ha portato “un messaggio sociale-rivoluzionario” come Spartaco, e “non era un combattente per una liberazione politica, come Barabba o Bar-Kochba”. Ha portato “qualcosa di totalmente diverso: … l’incontro con il Dio vivente … l’incontro con una speranza che era più forte delle sofferenze della schiavitù e che per questo trasformava dal di dentro la vita e il mondo”, “anche se le strutture esterne rimanevano le stesse”. (4)
Cristo ci rende veramente liberi: “Non siamo schiavi dell’universo” e delle “leggi della materia e dell’evoluzione”. San Gregorio Nazianzeno vede nei Magi guidati dalla stella “la fine dell’astrologia”, una concezione – afferma il Papa – “nuovamente in auge anche oggi”: “non sono gli elementi del cosmo … che in definitiva governano il mondo e l’uomo, ma un Dio personale governa le stelle, cioè l’universo”. Siamo liberi perché “il cielo non è vuoto”, perché il Signore dell’universo è Dio che “in Gesù si è rivelato come Amore”. 5)

Cristo è il “vero filosofo” che “ci dice chi in realtà è l’uomo e che cosa egli deve fare per essere veramente uomo”. “Egli indica anche la via oltre la morte; solo chi è in grado di fare questo, è un vero maestro di vita”.
6) E ci offre una speranza che è insieme attesa e presenza: perché “il fatto che questo futuro esista, cambia il presente”. Infatti “per la fede … sono già presenti in noi”, ad uno stato iniziale, “le cose che si sperano: il tutto, la vita vera”. Il futuro è attirato “dentro il presente” e noi lo possiamo già percepire e “questa presenza di ciò che verrà crea anche certezza”, “costituisce per noi una ‘prova’ delle cose che ancora non si vedono”. 7)

Questa speranza non è qualcosa ma Qualcuno: non è fondata su cose che passano e ci possono essere tolte, ma su Dio che si dona per sempre: per questo è una speranza che libera e permette a tanti cristiani di abbandonare tutto “per amore di Cristo” come ha fatto San Francesco e di affrontare le persecuzioni e il martirio opponendosi “allo strapotere dell’ideologia e dei suoi organi d’informazione” rendendoli così capaci di rinnovare il mondo. (8)

Il Papa rileva che “forse oggi molte persone rifiutano la fede semplicemente perché la vita eterna non sembra loro una cosa desiderabile. Non vogliono affatto la vita eterna, ma quella presente, e la fede nella vita eterna sembra , per questo scopo, piuttosto un ostacolo”.
(10) “L’attuale crisi della fede – prosegue - è soprattutto una crisi della speranza cristiana”. “La restaurazione del paradiso perduto, non si attende più dalla fede” ma dal progresso tecnico-scientifico, da cui – si ritiene - potrà emergere “il regno dell’uomo”. La speranza diventa così “fede nel progresso” fondata su due colonne: la ragione e la libertà che “sembrano garantire da sé, in virtù della loro intrinseca bontà, una nuova comunità umana perfetta”. “Il regno della ragione … è atteso come la nuova condizione dell’umanità diventata totalmente libera”.
(17-18) “Due tappe essenziali della concretizzazione politica di questa speranza” sono state la Rivoluzione francese (19) e quella marxista. Di fronte agli sviluppi della Rivoluzione francese, “l’Europa dell’Illuminismo … ha dovuto riflettere in modo nuovo su ragione e libertà”. La rivoluzione proletaria d’altra parte ha lasciato “dietro di sé una distruzione desolante”. “L’errore fondamentale di Marx” è stato questo: “ha dimenticato l’uomo e ha dimenticato la sua libertà… Credeva che una volta messa a posto l’economia tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo”. (20-21) “Diciamolo ora in modo molto semplice – scrive il Papa : l’uomo ha bisogno di Dio, altrimenti resta privo di speranza”. (23) “L’uomo non può mai essere redento semplicemente” da una struttura esterna. “Chi promette il mondo migliore che durerebbe irrevocabilmente per sempre fa una promessa falsa”. Così sbagliano quanti credono che l’uomo possa essere redento mediante la scienza. “La scienza … può anche distruggere l’uomo e il mondo”. “Non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore”. Un amore incondizionato, assoluto : “La vera grande speranza dell’uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio – il Dio che ci ha amati e ci ama tuttora sino alla fine”. (24-26)
8)
Il Papa indica quattro luoghi di apprendimento e di esercizio della speranza. Il primo è la preghiera: “Se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora … se non c’è più nessuno che possa aiutarmi … Egli può aiutarmi”. Il Papa ricorda l’esperienza del cardinale vietnamita Van Thuan, per 13 anni in carcere, di cui 9 in isolamento: “in una situazione di disperazione apparentemente totale, l’ascolto di Dio, il poter parlargli, divenne per lui una crescente forza di speranza”. (32-34)

Accanto alla preghiera c’è poi l’agire. “La speranza in senso cristiano è sempre anche speranza per gli altri. Ed è speranza attiva, nella quale lottiamo” affinché “il mondo diventi un po’ più luminoso e umano. E solo se so che “la mia vita personale e la storia nel suo insieme sono custodite nel potere indistruttibile dell’amore” io “posso sempre ancora sperare anche se … non ho più niente da sperare”. E “nonostante tutti i fallimenti” questa speranza mi dà “ancora il coraggio di operare e di proseguire”. (35)

Anche il soffrire è un luogo di apprendimento della speranza. “Certamente bisogna fare tutto il possibile per diminuire la sofferenza”: tuttavia “non è la fuga davanti al dolore che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore”. Qui il Papa cita un altro testimone della speranza, il martire vietnamita Paolo Le-Bao-Thin, morto nel 1857. Fondamentale è poi saper soffrire con l’altro e per gli altri. “Una società che non riesce ad accettare i sofferenti …è una società crudele e disumana”. (36-39)

Infine, altro luogo di apprendimento della speranza è il Giudizio di Dio. “La fede nel Giudizio finale è innanzitutto e soprattutto speranza”: “esiste la risurrezione della carne. Esiste una giustizia. Esiste la ‘revoca’ della sofferenza passata, la riparazione che ristabilisce il diritto”.
Il Papa si dice “convinto che la questione della giustizia costituisce l’argomento essenziale, in ogni caso l’argomento più forte, in favore della fede nella vita eterna”. E’ impossibile infatti “che l’ingiustizia della storia sia l’ultima parola”. “Dio è giustizia e crea giustizia. E’ questa la nostra consolazione e la nostra speranza. Ma nella sua giustizia è insieme anche grazia”. “La grazia non esclude la giustizia…I malvagi alla fine, nel banchetto eterno, non siederanno indistintamente a tavola accanto alle vittime, come se nulla fosse stato”. Il Papa ribadisce la dottrina sull’esistenza del purgatorio e dell’inferno. Tuttavia se il Giudizio di Dio “fosse pura giustizia, potrebbe essere per tutti noi solo motivo di paura”. Invece è anche grazia e questo “consente a noi tutti di sperare e di andare pieni di fiducia incontro al Giudice che conosciamo come nostro ‘avvocato’”. (41-47)

Nei capitoli sul Giudizio finale Benedetto XVI inserisce una riflessione sull'ateismo del XIX e del XX secolo: si tratta di "una protesta contro le ingiustizie del mondo" - nota - che diventa "protesta contro Dio". "Se di fronte alla sofferenza di questo mondo la protesta contro Dio è comprensibile, la pretesa che l'umanità possa e debba fare ciò che nessun Dio fa né è in grado di fare, è presuntuosa ed intrinsecamente non vera. Che da tale premessa siano conseguite le più grandi crudeltà e violazioni della giustizia non è un caso - aggiunge - ma è fondato nella falsità intrinseca di questa pretesa". (42)

Benedetto XVI poi ribadisce: “La nostra speranza è sempre essenzialmente anche speranza per gli altri; solo così essa è veramente speranza anche per me. Da cristiani non dovremmo mai domandarci solamente: come posso salvare me stesso? Dovremmo domandarci anche: che cosa posso fare perché altri vengano salvati …? Allora avrò fatto il massimo anche per la mia salvezza personale. (48)

Nell’ultimo capitolo rivolge la sua preghiera a “Maria, stella della speranza”:
“Madre di Dio, Madre nostra, insegnaci a credere, sperare ed amare con te. Indicaci la via verso il suo regno! Stella del mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino!” (49-50)
Fine 19-2-2011 Roma ( Alcuni testi delle due encicliche di Papa Benedetto XVI :”Deus Caritas est” e “Spe Salvi” e commenti utili per un ritiro.P.Claudio Crimi ACSE)

lunedì 7 febbraio 2011

ACSE on LINE n° 3 - Febbraio 2011- DAKAR

Riceviamo e pubblichiamo le notizie che ci giungono dal nostro corrispondente che vive il "FORUM SOCIALE MONDIALE " in Dakar - SENEGAL:
P.Alex Zanottelli

Dakar 6 febbraio 2011
Da Gorée alla marcia del Forum sociale mondiale
Il gruppo dei missionari e missionarie aveva deciso, prima di partecipare alla marcia di inaugurazione del Forum sociale mondiale di Dakar, avvenuta oggi 6 febbraio, di andare in pellegrinaggio penitenziale all’isola di Gorée, che dista pochi chilometri di mare da Dakar.
Come missionari sentivamo il bisogno di chiedere perdono per i milioni di schiavi, molti dei quali partiti proprio da Gorée, trasportati alle Americhe: la cosiddetta “tratta Atlantica”. E’ uno dei più grandi genocidi della storia umana. Sentivamo il bisogno di chiedere perdono sia come europei, gli autori di questo traffico umano, sia come cristiani per i nostri silenzi e complicità nella tratta.
Dopo aver visitato i luoghi significativi dell’isola, abbiamo deciso come missionari di compiere un’azione simbolica dalla chiesetta San Carlo Borromeo, nel cuore dell’isola, fino alla Casa degli schiavi.
Il missionario comboniano congolese, Janvier Kabeya, dopo aver indossato la veste liturgica per l’eucarestia, è stato legato mani e corpo con una corda e abbiamo iniziato la processione penitenziale lungo le stradine, tra le casupole coloniali dell’isola. Lungo le viuzze ci sono state cinque tappe in cui abbiamo riflettuto e legato l’esperienza degli schiavi alla passione di Gesù.
Arrivati alla Casa degli schiavi, deposti alcuni lumi davanti alla porta, ci siamo inginocchiati e padre Janvier ha chiesto perdono a Dio e all’umanità non solo per le nostre colpe nella tratta, ma anche per le nostre complicità e i nostri silenzi nelle nuove schiavitù di oggi.
Siamo poi ritornati nella chiesetta per celebrare l’eucarestia domenicale. Alla fine della messa, ognuno dei missionari si è assunto l’impegno pubblico, concreto e quotidiano per la giustizia e la pace e la difesa del creato.
A quel punto la comboniana Clara, del Mozambico, ha slegato Janvier come testimonianza che Dio ci libera proprio perché possiamo impegnarci per la vita.
Con questo spirito siano tornati a Dakar, la grande città senegalese che conta oggi due milioni di abitanti, e ci siamo inseriti nella grande marcia inaugurale del Forum mondiale sociale partita dalla grande moschea di Dakar per concludersi all’università cittadina “Cheikh Anta Diop”, dove si svolgerà la settimana del Forum (6-11 febbraio).
Siamo rimasti meravigliati dalla grande partecipazione popolare. Abbiamo attraversato il corteo, osservando attentamente le varie delegazioni con i loro striscioni e cartelli. Una manifestazione tipicamente africana, con canti, balli, tamburi: il senso vero della festa africana. Pacifica. Ordinata e ben organizzata. La partecipazione popolare è stata sicuramente più consistente della marcia di Nairobi, del 2007.
La riuscita di questo evento è, secondo noi, dovuta al fatto che la società civile in Africa occidentale è molto più viva che nel resto del continente. Qui lavorano grandi organizzazioni di contadini, in difesa della terra, delle sementi, dell’acqua e dei loro prodotti. Ecco il perché di una così consistente partecipazione alla marcia.
E questo fa ben sperare per l’Africa. Ben sapendo che solo dal basso possono avvenire i grandi cambiamenti.
La marcia si è conclusa nel grande vialone dell’università, davanti a un enorme palco, da dove ha incitato la folla il presidente della Bolivia Evo Morales, già presente a Belém (Brasile) nel 2009.
Arrivati da Gorée turbati dall’aver rivissuto la tragedia della schiavitù di ieri e quella di oggi, ci ha grandemente confortato questa vitalità africana, che ci ha entusiasmato e ha rafforzato in noi la convinzione che ci può essere un’altra Africa.
Alex Zanotelli