ACSE on LINE 3/5 2010

ACSE on LINE 3/5  2010
scuola

sabato 13 febbraio 2010

ACSE ON LINE

Febbraio- 2010
A.C.S.E. - Associazione Comboniana Servizio Emigranti e Profughi
anno 3 nº 2
Direttore: P.Claudio Crimi , missionario comboniano - Via S. Pancrazio 17b - 00152 Roma
Sede dell’ACSE Via del Buon Consiglio 19 – 00184 ROMA tel. +39.06.6791669
Collaboratori alla redazione: Francisco Morales; Grazia Gasparri; Filippo Marino; Flavien del Burundi; Enrica Inghilleri Italia; Enza Giuffrè..

EDITORIALE: Sul Corriere della Sera del 10 febbraio 2010 nelle cronache di MILANO si legge a pag 1 il seguente titolo: “Sgomberato campo rom .Allontanati 120 nomadi” e continua: “ sgomberato il campo rom di Vaiano Valle. Sono 120 nomadi che sono stati allontanati . Quello di ieri è stato il duecentesimo bliz. La lega plaude . il PD polemizza:<è in atto una persecuzione contro i rom.>. Il Comune replica. Il vicesindaco De Corato :< Gli sgomberi effettuati , rispettano le leggi>…”
Ecco dove siamo arrivati. Le maestre ad assistere il bliz implorando per i bambini rom che frequentano la scuola con onore e che ora vengono portati via come criminali!! Ma Loro: Sgomberare il campo rom, passare con i buldozer per distruggere le baracche, e tutto questo nel bel mezzo dell’inverno, il più freddo da anni!! Non solo, ma il giornale dice che sono stati sloggiati i rom!! Ma dove li portanto? I bambini dove andranno a scuola? E per di più sono “rom” che vivono in Italia da anni! Sono italiani!? E allora cosa sta succedendo?
Mi chiedo. Lo sapevate che si può giustificare qualsiasi porcata? Ecco ora la dimostrazione pratica e la prova di chi , violando qualsiasi valore morale , da ordine di buttare fuori dalle loro baracche dei bambini, e così di toglierli dalla scuola, violando le leggi della nostra costituzione e criminalizzando persone che ovviamente sono innocenti e mi riferisco ai bambini e alle loro mamme tanto per cominciare! Ma la cosa più bestiale, che dimostra la cattiveria di chi ha dato gli ordini e di chi li ha eseguiti è l’aver scelto i giorni più freddi dell’anno per buttarli in strada.
Avevamo appena superato lo shok degli immigrati di Rosario, deportati in altre parti d’Italia, di cui circa 200 a Roma e che stanno ancora cercando un tetto sicuro. Hanno cercato anche noi dell’ACSE.
. Ovviamente altri stanno in condizioni peggiori e occupano altre catapecchie e vivono male. C’erano già nell’aria tutte le premesse per arrivare ai disastri del 2010 in cui , pur dicendo che la nostra economia andava meglio di vari paesi europei , inspiegabilmente (!) siamo in piena crisi!! Ovviamente qualcuno sta raccontando delle bufale per tacitare le coscienze! Ma se andavamo meglio degli altri , cosa è successo?

Tutti ci chiediamo quanto tempo ancora ci vorrà, per liberarci da questa piaga nazionale che è la cecità del nostro egoismo personale , la mancanza di una visione storica, la mancanza di un progetto di futuro realizzabile, la corruzione generalizzata ai vari livelli dello stato . Siamo gia così degradati da non strillare di fronte a queste violazioni ? Vediamo i più deboli schiacciati e ce ne stiamo ziti? Forse non sappiamo cosa e come gridare! Nel frattempo i Cristiani, con il cuore atratto in un blocco di amarezza , preghiamo per la Pace e celebriamo il Re della vita Gesù Cristo !
P.Claudio



“I mandarini e le olive non cadono dal cielo”

In data 31 gennaio 2010 ci siamo riuniti per costituire l’Assemblea dei lavoratori Africani di Rosarno a Roma.
Siamo i lavoratori che sono stati obbligati a lasciare Rosarno dopo aver rivendicato i nostri diritti. Lavoravamo in condizioni disumane.
Vivevamo in fabbriche abbandonate, senza acqua né elettricità. Il nostro lavoro era sottopagato.
Lasciavamo I luoghi dove dormivamo ogni mattina alle 6.00 per rientrarci solo la sera alle 20.00 per 25 euro che non finivano nemmeno tutti nelle nostre tasche.
A volte non riuscivamo nemmeno, dopo una giornata di duro lavoro, a farci pagare.
Ritornavamo con le mani vuote e il corpo piegato dalla fatica.
Eravamo, da molti anni, oggetto di discriminazione, sfruttamento e minacce di tutti i generi.
Eravamo sfruttati di giorno e cacciati, di notte, dai figli dei nostri sfruttatori.
Eravamo bastonati, minacciati, braccati come le bestie…prelevati, qualcuno è sparito per sempre.
Ci hanno sparato addosso, per gioco o per l’interesse di qualcuno. Abbiamo continuato a lavorare.
Con il tempo eravamo divenuti facili bersagli. Non ne potevamo più.
Coloro che non erano feriti da proiettili, erano feriti nella loro dignità umana, nel loro orgoglio di esseri umani.
Non potevamo più attendere un aiuto che non sarebbe mai arrivato perché siamo invisibili, non esistiamo per le autorità di questo paese.
Ci siamo fatti vedere, siamo scesi per strada per gridare la nostra esistenza.
La gente non voleva vederci. Come può manifestare qualcuno che non esiste?
Le autorità e le forze dell’ordine sono arrivate e ci hanno deportati dalla città perché non eravamo più al sicuro. Gli abitanti di Rosarno si sono messi a darci la caccia, a linciarci, questa volta organizzati in vere
e proprie squadre di caccia all’uomo.
Siamo stati rinchiusi nei centri di detenzione per immigrati. Molti di noi ci sono ancora, altri sono tornati in Africa, altri sono sparpagliati nelle città del Sud.
Noi siamo a Roma. Oggi ci ritroviamo senza lavoro, senza un posto dove dormire, senza I nostri bagagli e con I salari ancora non pagati nelle mani dei nostri sfruttatori.
Noi diciamo di essere degli attori della vita economica di questo paese, le cui autorità non vogliono né vederci né ascoltarci. I mandarini, le olive, le arance non cadono dal cielo. Sono delle mani che li raccolgono.
Eravamo riusciti a trovare un lavoro che abbiamo perduto semplicemente perché abbiamo domandato di essere trattati come esseri umani. Non siamo venuti in Italia per fare i turisti. Il nostro lavoro e il nostro sudore serve all’Italia come serve alle nostre famiglie che hanno riposto in noi molte speranze.
Domandiamo alle autorità di questo paese di incontrarci e di ascoltare le nostre richieste:
- domandiamo che il permesso di soggiorno concesso per motive umanitari agli 11 africani feriti a Rosarno, sia accordato anche a tutti noi, vittime dello sfruttamento e della nostra condizione irregolare che ci ha lasciato senza lavoro, abbandonati e dimenticati per strada.
Vogliamo che il governo di questo paese si assuma le sue responsabilità e ci garantisca la possibilità di lavorare con dignità.

L’Assemblea dei Lavoratori Africani di Rosarno a Roma
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Teoria occidentale della relatività, o ……. Ipocrisia:


Piccolo quadro inviato de un medico del SMG francese. ( Sindacato della medicina Generale) per illustrare certi commenti di qualcuno…..
90 persone prendono l’influenza H1N1 e tutto il mondo vuole portare una maschera. 5 milioni di persone hanno il SIDA (AIDS) e nessuno vuole indossare il preservativo!!!
1000 persone muoiono di influenza A in un paese ricco, ed è una pandemia; a milioni muoiono di malaria in Africa, ed è un problema loro...

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UNA VOLTA : VIVERE IN DEMOCRAZIA…
“Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero. Qui ad Atene noi facciamo così”.
Pericle, Discorso agli Ateniesi (461 a.C.)
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Ecco alcune notizie, che, comunque , ci devono far pensare :

. Gibuti 11 sett.
Dal nostro inviato Tea Alli
Cari Amici!
Questa lettera vi giunge da Gibuti, nel Corno d’Africa, un tempo il recapito di mercanti e avventurieri di mezzo mondo. Dopo la costruzione del canale di Suez nel 1856 la posizione strategica di Gibuti non poteva passare inosservato e la Francia colonizzò questa terra di appena 23.000 chilometri quadrati. I velieri d'India, Arabia, Africa ed Europa attraccavano nel suo porto. Gibuti divenne un crocevia di razze e fedi.
Dopo la proclamazione d’indipendenza nel 1977 Gibuti prometteva ancora fortuna e ricchezze. Mia amica Agni, figlia del medico personale di Haile Selassie di Etiopia, ricorda quei giorni spensierati che le famigliole si riunivano in comitive per assaggiare frutti di mare o pizza appena sfornata (Agni è sposata con un italiano) nel suo ristorante nel centro di Gibuti. La città era elegante e piena di stranieri. Ma, ahimè, la situazione è cambiata. La guerra civile ha spazzato via i segni di passata gloria sprofondando il paese nella miseria e rovina.
La due tribù principale, gli Issa e gli Afar, lottano per il potere. Per la costituzione, se il presidente è un Issa, il primo ministro deve essere un Afar, o viceversa. Questa alternanza di posizioni crea un’altalena di equilibrio. Dei 500.000 abitanti di Gibuti la metà vive nelle savane o sulle montagne. Essi non godono di nessun diritto civile o politico. 50.000 persone conducono ancora una vita nomade. I ribelli FRUD sono scesi dalle montagne nel disperato tentativo di riunificare il paese. L’ONU ha ritirato la sua contingenza e gli ultimi a restare in Gibuti sono i mercenari francesi. Gli unici locali a dare un segno di vita sono i bar notturni della soldatesca. Le loro porte illuminate da lampadine colorate ammiccano da ogni angolo di strada.
Oltre a queste teste rapate la città è invasa da profughi somali ed etiopici, che bivaccano nel mercato generale in mezzo a montagne di casse di frutta vuote, allevando qualche capra che pascola in giro per la città. Ogni mattina all’alba un furgone passa furtivamente la frontiera per scaricare mendicanti alla Piazza Menelik. Non puoi fare un passo senza essere richiamato. I più tenaci sono le bambine che vendono fazzoletti di carta e gomme americane. Si aggrappano al tuo braccio e non mollano finché non hanno concluso l’affare. Tutto l’introito finisce nelle tasche dei loro padroni.
Il trasporto pubblico è affidato a minibus decorati con coccarde sui retrovisori e lunghi pennacchi di uccello (Babour Humblica) sui tetti. I nomi di questi pulmini sono più fantasiosi possibili: New York, Harlem, Hollywood, UNESCO e persino Batman. Il bigliettaio pende metà fuori della porta e strilla località di destinazione ai passanti. Un tragitto costa 50 franchi gibutiani, 30 cent italiane. L’affollamento è assicurato, due al posto di uno.
Oggi ho chiesto un amico nomade di accompagnarmi nel deserto. La fettuccia di strada asfaltata costruita in onore del re Fahd Ben Abdoul Aziz ci ha condotti a 17 chilometri dal capitale. Poi sono cominciati i dolori. Le vie secondarie sono piene di buche. Più volte siamo dovuti scendere per spingere il fuoristrada. Alla fine siamo arrivati all’epicentro del mondo dove i rif di tre continenti si urtano dando origine a continue scosse telluriche. Il paesaggio tra i laghi Goubet ed Assal, una striscia di terra di cinque chilometri di vulcani, è apocalittico. Mi sento smarrita in mezzo a queste montagne minacciose, in un silenzio primordiale sotto il cielo di rame arroventato. Un presentimento trasale l’anima. Il lago Assal è morto, le sue acque si sono pietrificate in increspature di sale. La forte evaporazione fa salire la temperatura a 60 gradi. I piedi bruciano e il pulviscolo bianco penetra dappertutto, negli occhi e nella bocca, nonostante la sciarpa di garza nella quale mi sono avviluppata. E’ una striscia di stoffa lunga 6 metri che i nomadi annodano intorno alla testa e coprono la faccia per difendersi dalle tempeste di sabbia. L’aria diventa irrespirabile e decidiamo di ritornare in città.
Nella stanza d’albergo accendo la televisione. CNN trasmette un’anteprima di un film di orrore. Le due torri gemelle di New York sono in fiamme. Poi mi rendo conto. Questa non è fantascienza. Il terrorismo ha seminato morte e orrore. Il mondo è cambiato. Lo Stato Maggiore manda un picchetto di soldati a presiedere l’albergo e i cittadini americani vengono evacuati. Resto ancora due giorni. Poi volo con Ethiopian Airlines via Addis Abeba a Roma. Che Dio ce la mandi buona

MEDITIAMO SU QUESTE NOTIZIE CHE CI GIUNGONO DAL MONDO PERCHE’
ABBIAMO BISOGNO DI RISTABILIRE L’EQUILIBRIO DELLA GIUSTIZIA.
Vedere: www.rivistaacseonline.blogspot.com , 12 febbraio 2010